Tra gli argomenti della crisi dell’informazione, da più parti si indica come principale colpevole l’approccio mainstream delle TV e dei giornali, diventato menzognero, distante dalla verità.
Ho provato a ragionarne durante i giorni di #OccupyGezi, sono stato per giorni a sentire questa tesi rimbalzare tra le voci a cui sembrava ovvio che la lentezza del mostro televisivo fosse sinonimo di inesattezza. E che quindi la rete fosse più veloce, di conseguenza migliore. Che nei giorni delle proteste di Istanbul è stato declinato in trovi tutto su Twitter.
Senza mai esserne pienamente convinto.
In un ottimo articolo su DoppioZero di Tiziano Bonini ragionando sull’infosfera turca si segnalano tre punti.
Primo: mancanza di una prospettiva storica
In realtà questa storia delle “rivoluzioni di Facebook” è stata finora molto banalizzata, discussa, sottostimata o sovrastimata, ma mai analizzata a fondo, se non in contesti accademici.
Non credo esistano rivoluzioni di Facebook ma “rivoluzioni” che, come dei software, girano su hardware (tecnologie di comunicazione) differenti. E, metaforicamente, ogni miglioramento dell’hardware si ripercuote sulla velocità del software.
Guardando qualunque evento di protesta e di mobilitazione nel corso della storia è facile trovare una corrispondenza tra media e metodi di diffusione e coinvolgimento dei cittadini, da Lutero in avanti. Senza correre troppo indietro con gli anni, basta citare questo pezzo a proposito delle magiche proprietà di transistor e onde radio:
“Le cose andavano troppo di fretta perché i giornali riuscissero da soli a calmare quella fame di conoscenza, tanto più che il maggio del ’68 si svolse soprattutto di sera e di notte. Screditata la televisione, superati i giornali dalla rapidità degli avvenimenti, buoni giusto per essere degustati al mattino, a colazione, come verifica: restava la radio” (Evelyne Sullerot, Transistors e barricate, 1968)
Secondo: il caso di Istanbul
Quello che ha reso caso di studio interessante la protesta egiziana sta nell’uso “tattico” dei social network. Ovviamente, siamo ancora troppo vicini all’evento in termini temporali e troppo distanti dagli eventi geograficamente, ma possiamo affidarci al racconto della sociologa turca Zeynep Tufekci, che la definisce una protesta “alimentata dai social network”, in quanto fondamentali nella mobilitazione rapida e veloce delle persone e nella diffusione rapida delle informazioni.
La notizia di una carica della polizia se scritta in un tweet localizzato è una fonte di informazione per chiunque si trovi nel mezzo della protesta. Neanche la radio, nei tempi delle proteste studentesche sessantottine, poteva avere una velocità di propagazione paragonabile (le radio in quegli anni non erano degli strumenti maneggevoli).
E, di più, quando il premier Erdogan definisce Twitter “la più pericolosa minaccia alla società”, alcuni gruppi di cittadini hanno trovato il modo di aggirare il temuto embargo digitale con proxy e VPN. Questo a dimostrazione di una capacità di utilizzo del mezzo sorprendente e straordinariamente veloce.
Terzo: non una “social media revolution”
Enfatizzare il ruolo dei social media è affascinante, come ogni cosa nuova e che promette miracoli, ma inesatto. Non è la protesta dei social media, ma la vittoria di un modello di comunicazione su altri. La mancanza di leadership notata nel movimento è sinonimo di una comunicazione decentrata, non controllata, e come tale composta da diverse anime.
Diverse anime che, come accade sempre più spesso ed anche da noi, sono unite soltanto dal dissenso e dalla mancanza di una chiara rappresentanza. Ma non è comunque una rivoluzione della “Rete” o dei “Social” (che scriverli in maiuscolo è già un errore, a dargli una validità di entità o personale che non hanno), ma di un metodo di narrazione e di comunicazione.
..it will be tweeted?
Quello che emerge da una analisi dell’infosfera è che non c’è inesattezza, né mancanza di verità o complotti informativi nella gestione dei media del caso #OccupyGezi. C’è un modello nascente di comunicazione molto più frammentato e veloce, al quale modelli più vecchi di comunicazione non riescono ad adeguarsi.
Ma non è la prima volta che succede nella storia e reagiremo anche a questo. O magari cambieremo idea di fronte ad un nuovo mezzo di comunicazione.
Per approfondire: La traduzione di un articolo di Zeynep Tufekci su Valigia Blu http://www.valigiablu.it/proteste-e-social-media-unanalisi-da-jan25-a-geziparki/
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