Un articolo del direttore de La Stampa Mario Calabresi, nato dalle lucide riflessioni di Prandelli nella conferenza stampa post-sconfitta agli Europei. Che il giornalista espande e analizza.
Secondo Calabresi la continuità è un valore che dobbiamo tornare ad apprezzare. Saremo sempre capaci, da buoni italiani, di salvarci all’ultimo respiro. Di fare un miracolo un momento prima di affondare. Ma in quelle occasioni, nei momenti difficili, le occasioni di sbagliare si riducono. E ciò vuol dire che lo spazio per i giovani, naturalmente tendenti all’errore, si riduce. Perchè si preferirà puntare sempre sull’esperienza, sulla rinomata affidabilità, piuttosto che rischiare con giovani inesperti quando si è ad un passo dal risultato.
«Nel momento in cui saremo pronti a vincere, saremo anche pronti a rivincere, altrimenti resteremo sempre condannati a picchi seguiti da momenti bui». Dice il mister della Nazionale (n.d.r. che poi io da interista non posso che condividere. Dalla vittoria della Champions in poi non si vede l’ombra di un progetto).
Tornando all’articolo, ciò su cui il direttore Mario Calabresi si sofferma sul fatto che non si ha più pazienza con i giovani, che il «paese vecchio con idee vecchie» si veda proprio nella scarsa voglia di investire su idee nuove, energia, voglia di cambiamento. E quindi (e li mi ha conquistato) conclude con una citazione di Einstein tratta da un libricino di nome “Il mondo come io lo vedo”.
Uno di quei prontuari che ho sul comodino, pronto ad una lettura estemporanea, assieme a Seneca, Hitchens e Flaiano. Questa:
È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.
L’articolo de La Stampa si trova qui.