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La trovabilità delle informazioni nella P.A.

Trovabilità è una strana parola tradotta liberamente dal neologismo inglese “findability”. Pur non essendo di esteso utilizzo risulta di facile comprensione se si pensa ad essa come una caratteristica dell’informazione: ogni volta che viene pubblicato un singolo articolo, un’informazione, una news in un qualunque spazio sul web bisogna pensare a come questa informazione sarà raggiungibile. La sua trovabilità è la capacità di questo contenuto di essere recuperato da un utente generico e mediamente preparato all’utilizzo del mezzo.

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Informarsi senza perdersi

Qualche tempo fa, in pieno approccio entusiastico alla Rete, riflettevo sul metodo di informazione utilizzato quotidianamente dalla mia generazione in questo articolo. Contestualizzo: probabilmente per la scarsa estensione delle mie cerchie di contatto e di lettura, riuscivo ancora a governare le mille fonti quotidiane, riflettere su esse ed estrarre un mio pensiero. E non vedevo ancora la parte sommersa di informazione a cui, appartenendo ad un sottoinsieme che alcuni meravigliosi algoritmi mi avevano assegnato, incosciamente rinunciavo.

Oggi è sicuramente cambiato qualcosa, e mi piace l’idea di condividere questo cambiamento. Quindi lo faccio.

Dopo un periodo di utilizzo attivo, come a chiunque, è cresciuto enormemente il numero di contatti sui social. Pur continuando a prestare molta attenzione alla suddivisione in liste ed al filtro, accedere ai social per informarsi mi è diventato praticamente impossibile. Lo faccio ancora, molto spesso, ma la sensazione di spaesamento tra troppi contenuti che non mi interessano mi opprime. L’abbondanza di fonti è sostanzialmente un bene di cui non riesco più a godere e non è colpa di certo delle persone che frequento né di quelle conosciute online, ma della curiosità e del numero di cose a cui mi piacerebbe prestare attenzione.

Il risultato di una suddivisione per liste su Facebook, o su Twitter, non è infatti stato quasi mai uno snellimento dell’informazione e delle fonti ma piuttosto una crescita dei contenuti interessanti. Con il risultato di continui input di interesse non soddisfatti per ovvie ragioni di attenzione limitata, da cui l’information overload.

“Il problema non è l’enorme quantità di informazioni, ma il fallimento dei filtri”, ha detto Clay Shirky nel 2008. Ecco, nella mia esperienza il problema non è neanche quello dei filtri, ma dei troppi aghi nel pagliaio che vengono trovati (cit. Nicholas Carr). La sfida non è più trovare una certa informazione, sepolta, alla quale dati gli enormi progressi dei motori di ricerca ormai si riesce ad accedere facilmente, quanto piuttosto trovare l’informazione che vale la pena estrarre.

Qual è l’unica vera posizione meritevole di essere letta? Ho cinque minuti, non posso leggere tutto, vorrei avere un’opinione attendibile. Come trovarla?

Leggo le prime righe di un articolo, magari non mi soddisfa particolarmente, compulsivamente passo al successivo. Me ne restano ancora da leggere, nel frattempo aggiorno la mail e scopro altri contenuti interessanti. Magari sono un utente smaliziato e salvo in lettura per dopo con la mia app, ma resta la lunga lista di articoli interessanti da leggere ad attendere di essere smaltita. E questo diventa un sovraccarico di ambiente, molto più difficile da gestire in quanto spesso generato dai nostri stessi comportamenti.

Va bene, cambio tutto. Niente più social per informarmi.

Faccio un salto su una delle testate online più famose, che si occuperà di filtrare i contenuti per me, dando un senso e aggiungendo un valore ai mille commenti già trovati. Macché, peggio ancora. In piena smania di monetizzazione gli editori sovraffollano i loro giornali di contenuti, le loro homepage gridano vendetta intasate come sono di mille articoli diversi e scarsamente aggregati tra loro (oltretutto con un discutibile filtro di qualità/quantità generato dalla pratica dello “scrivi gratis ma ti ripago in visibilità”, come segnala Leonardo Tondelli qui).

Quindi niente, scappo anche da lì. Non apro più un homepage di un giornale online da mesi, ho troppa paura di perdermi.
Less-is-more

Ormai il vero il vantaggio competitivo non è più nel conoscere (che diventa obsoleto molto più rapidamente), ma nell’essere più efficienti ed efficaci nel sapere come e dove procurarsi l’informazione. Aggregare informazioni, trovare nuovi significati e capire i nessi fra i frammenti che ci pervengono è la sfida per informarsi bene e attivare un percorso di conoscenza, e per farlo bisogna districare l’entropia informativa del sovraffollamento di informazioni. Ma non è affatto banale se siamo circondati da persone in oversharing continuo.

Magari una soluzione potrebbe essere spegnere i megafoni, rifiutare la condivisione illimitata e la crescita infinita di amici sui social ed inseguire un ritorno alle origini. A comunità più piccole, dove le persone non sono perse nella mediocre media della rete allargata e dove le idee fluiscono più facilmente senza spaventare e senza essere perse. Come suggerisce jeswin in questo articolo su medium.com

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Informarsi con la rete

Cresciuti sul web, noi pensiamo in modo differente. Per noi la capacità di trovare informazioni è elementare. [..] Sappiamo che troveremo l’informazione che cerchiamo su molte fonti, sappiamo come arrivarci, sappiamo come valutare la loro attendibilità. Abbiamo imparato ad accettare che troveremo molte risposte anziché una sola, e da queste possiamo dedurre la versione più probabile scartando quelle che ci sembrano meno credibili. Selezioniamo, filtriamo, ricordiamo e siamo disposti ad abbandonare le informazioni che abbiamo in favore di altre aggiornate e migliori, se ne troviamo.Illustrazione di Chiara Dattola

Piotr Czerski – Cresciuti con la rete

E’ uno spezzone di un articolo che tenta di definire una generazione, cosa che non ti riesce facilmente se non sei Douglas Coupland. L’articolo in questione l’ho letto sull’Internazionale tempo fa e condiviso meccanicamente sui social. Mi sembrava una bella sviolinata alla nostra generazione, scritta senza troppa distanza di tempo per poter essere obiettivi e soprattutto scritta da un quasi coetaneo (l’autore è nato nel 1981), che alla fine tende a esaltare se stesso parlando bene di noi tutti.
Rileggendolo ieri però mi sono reso conto di un divario culturale fra le Generazioni che l’autore ha centrato pienamente, e che avevo sottovalutato.

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