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Obama (and OpenGov) wins!

Home page di Slate dopo la vittoria di Obama

Il giorno dopo la vittoria di Obama è quello giusto per celebrare non la sua vittoria, ma quella del suo modello di comunicazione.

Tralasciando i ragionamenti sul contesto di questa vittoria, anche perchè il solo fatto di avere una connessione internet e del tempo da spendere non significa avere la possibilità di indagare sul contesto, posso ragionare soltanto sulla sua figura di comunicatore.
Ciò che io vedo, dall’America e mediato da diversi passaggi attraverso schermi e pensieri di altre persone, è il suo modo di comunicare. Ed è quello che stupisce, perché è qualcosa di straordinario. Ottimista, sorridente, gioviale (ricordo il video in cui entra in un bar ed un cliente lo abbraccia; riusciamo ad immaginare una cosa del genere in Italia?) ai limiti dell’indecenza in un tale periodo di pessimismo cronico.

Basti pensare all’esordio nella Casa Bianca di 4 anni fa, in cui nel giorno stesso della presa di potere scrive un memorandum alle agenzie del governo federale in cui dice:

La mia amministrazione si è impegnata a creare un livello di apertura senza precedenti nel governo.
Lavoreremo insieme per assicurarci la fiducia nel pubblico e stabilire un sistema di trasparenza, partecipazione dei cittadini e collaborazione. L’apertura rafforzerà la nostra democrazia e l’efficacia dell’azione di governo [..]
La mia amministrazione prenderà misure appropriate [..] per rivelare le informazioni rapidamente e in modo che il pubblico possa trovarle e usarle con facilità. I dipartimenti esecutivi e le agenzie devono sfruttare le nuove tecnologie per mettere online le informazioni sulle proprie attività e le proprie decisioni e renderle rapidamente disponibili al pubblico. I dipartimenti esecutivi e le agenzie dovrebbero anche sollecitare il contributo del pubblico per identificare quali sono le informazioni più utili

Questo diventerà poi l’Open Government Initiative.

Il primo presidente della storia Open è stato appunto il primo a capire che il mezzo Internet è un metodo nuovo di comunicare in cui non si possono mettere solo oggetti in vetrina, in cui non bisogna preparare interventi di 15 secondi per il TG della sera e ripeterlo 8 volte di fronte ad 8 telecamere diverse. Bisogna cambiare paradigma, ed il consenso passa attraverso nuove forme di comunicazione.
Bisogna chiamare le persone a raccolta, perchè sono sempre di più dei milionari, bisogna coinvolgerle. Creando iniziative nazionali, ma anche locali, creando piattaforme di civic engagement per avvicinare in modo trasparente le istituzioni ai cittadini.

Per capire di cosa vado blaterando è utile scorrersi questa presentazione di uno che ne capisce molto più di me, e per questo ci lavora con questi argomenti. Dino Amenduni confronta la vecchia comunicazione politica del Self Branding che tanto è andata negli anni televisivi e la confronta con l’attuale scenario, ricavando un dato molto utile.
C’è una scarsissima fiducia nella politica, ma le pagine web e i profili social dei politici sono frequentatissimi. E’ basso però il livello di interazione, quasi a testimoniare che per il momento ci accontentiamo di controllare. Questo, secondo l’autore, significa che si necessita sempre più di un cambio di paradigma in quanto l’attuale comunicazione politica non raggiunge i suoi livelli minimi qualitativi (a parte qualche rara eccezione).

Quindi, non ci resta che aspettare cambi di paradigmi anche da noi. Che arriveranno presto, sicuramente. O forse sono già arrivati?!

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Esperimenti di democrazia liquida

Con la conferenza stampa di presentazione di Servizio Pubblico di questa mattina sembra essersi aperto un nuovo varco. Il varco è nell’utilizzo di LiquidFeedback: «L’obiettivo è dimostrare che si può creare un programma politico dal basso, sulla scia dei Pirati tedeschi».

Ma cos’è LiquidFeedback?

Liquid Feedback è un software libero che si basa sul concetto di democrazia liquida, creato appunto dal Partito Pirata Tedesco. Il software è liberamente scaricabile ed installabile, esiste dal 2010 ed è frutto di alcune riflessioni basate sulla partecipazione sul web, basate principalmente sui limiti della democrazia diretta, sul “dominio degli estroversi” e sul tempo a disposizione di ognuno per partecipare attivamente.

Il fulcro è, per non avvantaggiare gli utenti che più presenziano le discussioni e per venire incontro ai limiti di conoscenza di ognuno, nel sistema delle deleghe. Si può partecipare ad ogni discussione, ma ci sarà sempre una disparità di preparazione tra i votanti. Perciò si presuppone che un buon utilizzatore, cosciente di questo, si renda conto dei propri limiti e deleghi altri che ritiene preparati in determinati argomenti.

Per i programmatori, gli esperti, i ricercatori, gli hacker, è stato per mesi argomento di enormi discussioni e di trattati filosofici difficili da seguire, dove si sono incontrate discussioni tecniche, sociali e matematiche. Il risultato finale è un sistema ritenuto soddisfacente ma assolutamente da migliorare (infatti il Partito Pirata tedesco ha aperto tre gruppi di ricerca per cercare delle alternative) e, soprattutto, da testare.

Quali prospettive?

E’ un test di usabilità della piattaforma di eDemocracy che consentirà di capire i limiti ed i punti di forza di questo e di nuovi sistemi di consultazione.

E’ un processo di sviluppo, del tipo learning by doing (imparare il funzionamento mentre lo si usa). Osservando lo sviluppo del web negli ultimi decenni, tutto è andato così. Ogni nuovo  software ha soppiantato il precedente migliorandolo, e così continuerà.

E’ un esperimento di fusione tra discussione televisiva e sul web, quella crossmedialità che sembra essere l’unico futuro possibile per l’informazione.

E’ anche un rischio, perché non è chiaro quale indirizzo si voglia dare al sistema da parte di chi l’ha creato: creazione di un partito, scelta di un leader, creazione della scaletta del programma, valorizzazione dell’intelligenza collettiva nella definizione delle priorità. Molto dipenderà dall’evolversi della trasmissione e da come risponderà il pubblico, e per quello non possiamo che attendere (giovedì sera comincia la trasmissione, per la prima puntata ci saranno Renzi, Fini e Della Valle).

Su questo tema io non mi sbilancio, per ragionare sui possibili scenari dal punto di vista della metodologia politica e dell’utilizzo della piattaforma è senza dubbio meglio leggere questo articolo di Luca De Biase http://blog.debiase.com/2012/10/programma-liquido-servizio-pubblico-e-liquidfeedback

E io che c’entro?

Sono interessato alla parte di testing, dato che assieme ai ragazzi di Agorà Digitale stiamo percorrendo la stessa strada e ci troviamo tra i partecipanti alla fase di sviluppo. Non solo, l’argomento mi attrae anche culturalmente per mille motivi, tutti al di là della politica. E’ il fascino del percorso in atto e l’idea di parteciparvi il motore di tutto.

E poi perché per chiedere agli utenti di collaborare, bisogna iniziare facendolo noi per primi.

 

 

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Sul web ci sono solo le critiche..

Siamo in una guerra di transizione, la classica situazione in cui non è assolutamente più possibile mantenere l’atteggiamento tipicamente estraneo e superiore che ha sempre caratterizzato l’uomo occidentale di media cultura.

Ma c’è chi continua a farlo, e sono soprattutto appartenenti alle generazioni che ci precedono (con “ci” intendo includermi nella mia classe sociologica, i Millennials).

Una delle grandi novelle che si sente spesso è che il “popolo del Web” sia una massa di criticoni, gente che parla senza conoscere, anarchici, defraudatori della democrazia e sovvertitori del voto. Ah, che stronzata.
Non vuol dire che non vi siano elementi del genere, per carità, ma non li ha certo inventati la rete. Internet non ha cambiato le persone, il loro modo di ragionare, le loro convinzioni. Ha semplicemente connesso le persone aiutandole a comunicare.

E ciò significa che mentre 20 anni si potevano fare scelte politiche, discussioni e quant’altro in una sostanziale tranquillità smorzata da riunioni, feste di partito e dibattiti pubblici oggi è bastevole accendere il PC per avere fiumi di parole (ed anche di critiche) in pochi minuti. Segno dei tempi, ovviamente. Ma segno soprattutto della scarsa propensione ad adattarsi ai tempi.

Perchè alla fine basterebbe soltanto un minimo di umiltà.

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